Rabbia ed emozioni nella Politica


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Traduzione italiana


Nell’immaginario comune e in parte della filosofia, le emozioni non sono benvenute, persino pericolose. Tuttavia, pensatori come Spinoza, Lordon e Mouffe hanno evidenziato i loro ruoli nella lotta politica e nell’attivismo.

Ma cos’è un’emozione? Non darò qui una definizione complessa e la definirò solo nel modo seguente: un’emozione è una sensazione che coinvolge il corpo e la mente.

Nella concezione comune, la politica e le emozioni sono antagoniste. Dall’antica Grecia ai giorni nostri, ci vuole solo ragione, ancora e sempre ragione e la società si salverà. Questo discorso, che si ritrova a volte nei movimenti sociali, potrà essere egemonico e rivestirsi di verità, ma non è per forza preciso.

C’è un altro discorso, più subdolo, più lusinghiero per il cuore ma anche più pericoloso, predicato da psicologi positivisti ed economisti della felicità; quello che afferma che son necessarie solo le emozioni positive e che relega rabbia, tristezza e altre negative nella migliore delle ipotesi al vaneggiamento, nella peggiore all’anomalia. È necessario che la mobilitazione di massa decostruisca metodicamente queste posizioni.

Assumendo la definizione, possiamo vedere che la ragione esiste solo attraverso le emozioni. Capirei se i lettori a questo punto fossero scioccati da tale postulato. Tuttavia, questa non è una affermazione nuova poiché appare già in Spinoza e non è priva di fondamenti perché, da qualche tempo, la psicologia ha dimostrato che la capacità di giudizio viene dalle nostre emozioni e che senza di loro semplicemente non potremmo fissare un appuntamento o giocheremmo la nostra fortuna alla roulette in un modo del tutto irragionevole.

Accettare questo ci porta a due riflessioni: in primo luogo, poiché giudichiamo le cose solo dalle nostre emozioni, la politica è una questione anche e soprattutto d’emozioni. In secondo luogo, per convincere e mettere in moto una moltitudine, è essenziale impiegarne le emozioni.

Vi chiederete il motivo per la scrittura di quest’articolo, la sua utilità nella lotta al clima e più precisamente come strategia. È molto semplice. Ho notato che, per vari motivi e in diverse forme, gli attivisti del clima hanno spesso fatto scelte sbagliate in questo senso.

Innanzitutto, un certo numero di ecologisti di ieri e di oggi ha avuto come discorso principale ciò che si può qualificare di “scientifico” o “tecnico” sperando che questo, con la sua accuratezza, faccia partire uno slancio collettivo per affrontare la catastrofe imminente.

Ma “non piangiamo di fronte ai numeri”, come disse l’abate Pierre con una certa precisione. Perché non si può convincere senza usare emozioni in modo massiccio, specialmente in campo politico e di lotta. Persistere su questa strada è condannarsi all’impotenza. Per usare una frase scritta in precedenza, la politica è una questione d’emozioni.

Se vogliamo essere veramente efficienti e avere un impatto reale sul mondo, non possiamo tralasciare le emozioni. Ciò ci porta naturalmente a chiederci quali siano le emozioni da utilizzare.

I thunberghiani propongono la paura. Considero questa scelta inadeguata, persino pericolosa e lo spiego col seguente sillogismo: la paura è l’emozione della fuga. Per risolvere la crisi climatica, dovremo combattere contro un sistema. Quindi, se vogliamo risolvere la crisi climatica, non dobbiamo fuggire. Inoltre, va sottolineato che anche i populisti di destra usano la paura come motore per guadagnare potere perché, come un bambino nascosto dietro uno dei suoi genitori, un popolo in preda alla paura cerca di rifugiarsi dietro a una figura autoritaria che ha l’apparenza del potere necessario per superare ciò che crea terrore. Può essere una scelta tattica se supponiamo che solo una dittatura verde o un regime simile siano in grado di far fronte al disastro che incombe. Tuttavia, essa si basa su un presupposto molto audace.

Un altro errore sarebbe quello di credere ai cantori della positività, perché ci condannano all’impotenza essendoci un solo effetto positivo fondamentale: la gioia, che si esprime solo quando c’è soddisfazione. Tuttavia, come per la paura, non combattiamo quando la situazione ci soddisfa. Non protestiamo collettivamente se siamo felici del mondo. Non ci opponiamo alle istituzioni se siamo ricolmi di gioia e allegria. No, c’è solo un’emozione che può e dev’essere usata se vogliamo riuscire a sconfiggere la crisi climatica ed è la rabbia, per una semplice ragione: la rabbia è l’emozione che impieghiamo quando vogliamo che il nostro corpo usi il suo potere per distruggere l’oggetto della rabbia. E come mostrano gli esempi storici, le rivoluzioni sono sempre state momenti di rabbia.

La Comune di Parigi, nel 1871, iniziò con l’indignazione per la capitolazione dalla Prussia e il tentativo di riprendere i cannoni nazionali. La Rivoluzione francese del 1789 ebbe luogo in un clima di rabbia contro i privilegi fiscali dei nobili e del clero. Nel maggio ‘68 e attualmente nelle insurrezioni che scoppiano nel mondo, si può leggere la rabbia sui cartelli, negli slogan e sui volti. Naturalmente, la rabbia da sola non è abbastanza, ne sono consapevole. Dobbiamo per prima cosa pensare alle ragioni, alle cause, alle origini della nostra rabbia per evitare di contrastare gli altri effetti con il rischio di essere inefficaci come quelli che sperano di veder rifiorire i loro alberi tagliando i rami, mentre son le radici a essere marce o il terreno che è diventato tossico. E poi dobbiamo anche preparare il prossimo passo, pianificare e proporre nel modo più preciso e completo possibile cosa sostituirà ciò che avremo distrutto e che realizzerà la nostra aspirazione per una società ideale, senza tuttavia farsi illusioni e accettando le contraddizioni che emergeranno nella pratica.

Infine, ho detto che dovremmo usare le emozioni; vorrei specificare che andrebbe fatto secondo le modalità particolari del nostro contesto socio-culturale e quindi come la specifica pratica la cui vera essenza è lavorare con le emozioni per trasmettere o meno un messaggio: l’Arte. Smettiamo d’essere scienziati, diventiamo artisti!

Maxence Kolly, membro dello sciopero per il clima di Friburgo e nuovo socialista repubblicano

Realizzare le nostre speranze a livello locale


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Traduzione italiana


In questi tempi incerti, è fondamentale mostrare che c’è speranza. Un sistema agricolo generato dalla comunità e un’effettiva democrazia diretta possono essere messi in piedi tornando a un livello locale, nel quale si rafforzino. 

I problemi e le crisi attuali, in particolare quella climatica, potrebbero avere gravi ripercussioni sul pianeta e gli esseri viventi che lo popolano. Il sistema economico e di società in cui siamo nati e viviamo non fornisce un contesto adeguato per condurre una vita consapevole, libera e autodeterminata. In più, non è assolutamente capace di risolvere tali problemi in modo definitivo. 

Che noi lo volessimo oppure no, non abbiamo potuto contribuire a plasmare il sistema, se non in misura limitata. Non basta capirlo e criticarlo, serve fare un passo in più e agire sviluppando dei sistemi alternativi di funzionamento globale della società e dei suoi vari settori. Di fronte alle questioni sociali ed ecologiche, un cambiamento profondo è pertanto necessario.

L’alternativa sistemica è per definizione un microsistema creato al di fuori di un altro. Lo scopo non è per forza rivoluzionario, ma un’alternativa non può essere realmente tale se non in rottura a un qualche sistema. Per cui, un modello alternativo è per sua essenza contestatario e può porsi in totale opposizione al sistema creando qualcosa che non gli somigli affatto. 

Tornando a un livello locale, è possibile confutare e cortocircuitare il sistema tossico riorganizzando le strutture sociali, umane ed economiche più vicino alle persone. I processi di riflessione e decisione riguardo a queste strutture, localmente sono più facilmente delineabili dalle persone coinvolte, le quali percepiscono direttamente le conseguenze delle loro decisioni e possono quindi comprendere l’importanza di voler riappropriarsi collettivamente e liberamente del potere. Sulla base di queste riflessioni, abbiamo scelto di esplorare due possibili campi di alternative a livello locale: un’alternativa politica civica e un’alternativa agricola.

Alternativa politica civica

La volontà di creare un’altra forma di organizzazione sociale a livello locale ha un obiettivo concreto: quello di dissolvere l’incomprensione che circonda oggi il termine “politica” e di ridefinirne il significato reale. Le questioni sociali che riguardano l’intera popolazione dovrebbero essere affrontate a livello comunale, attraverso processi di discussione e di decisione che includano la popolazione. Ciò contrasta con la situazione attuale, in cui la maggior parte del pensiero politico e delle decisioni si basano su decisioni precedenti prese a distanza e regolate da una burocrazia che non può essere tenuta per responsabile.

Il livello locale ci consente soprattutto di tornare a un aspetto fondamentale della democrazia che viene trascurato nell’attuale sistema: i processi di deliberazione e dibattito. La vicinanza geografica e umana ci consente di familiarizzare con gli altri attori nel contesto in cui viviamo, con i loro interessi e bisogni e di trovare una soluzione comune. Durante un dibattito, è possibile mettere alla prova le proprie opinioni e argomenti. Le riflessioni che portano a nuove e migliori posizioni possono essere promosse da nuove conoscenze e nuovi aspetti aggiunti al dibattito. Il vantaggio principale di questo sistema locale è che, in definitiva, il potere decisionale spetta alle persone colpite da tali decisioni.

Concretamente, questo sistema potrebbe funzionare tramite un processo consensuale con assemblee generali, dibattiti e gruppi di lavoro composti da esperti/e e attori interessati. In alcuni casi, confederazioni regionali dovrebbero essere formate da delegati/e eletti/e nelle diverse comunità e con mandati specifici. Grazie ai principi d’inclusione e trasparenza, il processo sarebbe realmente nelle mani dei cittadini e delle cittadine.

Alternativa agricola

Sussiste ancora un divario tra il mondo agricolo e il resto della società. Ritornando a livello locale e aumentando il numero di lavoratori/trici attivi/e nel settore primario, è possibile ridurlo. Risulta più facile trovare una vicinanza geografica e umana, nonché rendere dei prodotti di buona qualità accessibili a tutti. Diversi attori possono anche rafforzare e moltiplicare facilmente i legami tra loro e promuovere la condivisione di strumenti e conoscenze.

Il modello agricolo globalizzato della produttività industriale ha fatto il suo tempo e oggi ha ampiamente dimostrato i suoi numerosi difetti morali e incoerenze. Il crollo della biodiversità che stiamo vivendo è un grosso problema. L’implementazione di pratiche agricole profondamente rispettose dell’ambiente e prive di carburanti fossili è di vitale importanza. Sarà necessario ridurre drasticamente l’uso di prodotti fitosanitari e garantire la salvaguardia della biodiversità nelle pratiche agricole. In pratica ciò è possibile solo riducendo le dimensioni delle aziende agricole, abbandonando la monocoltura e l’agricoltura intensiva e utilizzando più braccia.

Per consentire la creazione d’alternative di questo tipo, un primo passo importante è quello di riflettere sul posto che l’agricoltura ha attualmente nella nostra vita. È coltivando e allevando animali che possiamo nutrirci; come potremmo aver finora rimosso un’attività tanto essenziale quanto la produzione del nostro cibo dalla vita quotidiana? Nella maggior parte dei paesi occidentali abbiamo adottato uno stile di vita staccato dalla terra e ora dovremo imparare di nuovo come produrre i nostri alimenti. Da qui l’importanza della nascita qua e là di micro-fattorie agroecologiche produttive in campagna o in città, autogestite o partecipative, ecc. È un modo per rivendicare la terra e i suoi prodotti e soprattutto per ripensare il legame che gli esseri umani hanno con essa.

Passiamo al concreto

Un’alternativa è accompagnata, in qualsiasi campo, da un ritorno alle origini. Pertanto, affinché un’alternativa locale funzioni, la comunità deve avere tutti gli strumenti a disposizione ed essere ispirata dalla complessità e dalla resilienza degli ecosistemi, seguendo i nostri due esempi. Da un punto di vista strategico, la realizzazione d’alternative concrete ed efficaci fa interamente parte di una visione di mutamento di sistema, sia esso rivoluzionario o più lento. È necessario dimostrare che esiste qualcos’altro per suscitare e perpetuare la speranza militante.

Oliviero e Paula

Perché a volte dobbiamo infrangere la legge


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Traduzione italiana


Le azioni dirette non violente (ADNV) e la disobbedienza civile sono forme d’azione strettamente legate tra loro, necessarie per la sopravvivenza del nostro movimento. Non sono incontestabili, ma in che misura possono continuare a esserci utili e che ruolo ha la violenza in questo?

La disobbedienza civile presuppone un’accettazione di base dello Stato o del governo; dovrebbe concentrarsi solo su certe norme o leggi che gli attivisti ritengono ingiuste. Per cui non si agisce in modo egoistico, ma si vuole operare per il bene comune [1]. Nell’attuazione, l’accento è posto sulla violazione deliberata della norma legale al fine di enfatizzare l’urgenza.

ADNV significa un intervento improvviso delle persone in contesti politici tramite un’azione diretta non violenta [2]. Un’azione diretta può essere rivolta contro lo Stato o un’altra istituzione. Il suo scopo principale è quello di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e di drammatizzare il conflitto in modo tale che esso e l’incompetenza del sistema al potere di risolverlo non possano più essere ignorati [3]. 

La nostra forma di sciopero è l’esempio più importante, ma ci sono altri tipi d’ADNV e disobbedienza civile. In passato, rotonde, ingressi delle banche e terminal di jet privati ​​sono stati bloccati; attivist* dello sciopero per il clima hanno protestato in una riunione nella sala del Consiglio Nazionale per attirare l’attenzione sull’urgenza della crisi climatica e Extinction Rebellion ha pure intrapreso un simbolico “bagno di sangue” presso il Parlamento federale. Tutte queste azioni hanno in comune il fatto che provocano e attirano l’attenzione, i media vi si lanciano con gioia. Azioni di questo tipo ottengono sguardi, i passanti si fermano, scattano foto, fanno domande. È così che possiamo avvicinarci un po’ al nostro obiettivo: sensibilizzando il grande pubblico sull’argomento e innescando così un cambiamento. Se le persone sono colpite nella loro vita quotidiana non potendo andare al lavoro o salire sul loro aereo, la questione viene trasferita a livello personale. Questo per garantire che tutti affrontino intensamente l’argomento.

Tuttavia, alcune azioni causano anche fastidio alle persone colpite. Questo può essere subottimale per il nostro movimento in quanto viene percepito come negativo dai potenziali alleati. È peraltro importante sottolineare che il disagio causato da blocchi o azioni simili non è nulla in confronto a ciò che sicuramente accadrà in futuro – se non s’interviene immediatamente in base all’emergenza ecologica in cui ci troviamo. 

Ma non si tratta solo degli individui, anche del fatto che l’occupazione delle istituzioni pubbliche esercita pressioni sul governo su larga scala. Il fattore decisivo per molti è che gli attivisti agiscono sempre senza violenza. Non appena le cose non potranno più essere fatte in modo pacifico, la polizia avrà motivo di intervenire con veemenza contro le proteste e l’immagine dello sciopero del clima sarà seriamente danneggiata. 

Spesso la disobbedienza civile è anche definita come assolutamente non violenta, a causa del “civile” nel suo nome – civilizzato come sinonimo di non violento. Qui però, è necessaria una distinzione, perché violenza è un termine estremamente ampio. Non v’è dubbio che una violenza degenerata, incontrollata e arbitraria non sia un atto di disobbedienza civile. Ma una violenza volutamente simbolica usata su piccola scala, per esempio il danno alla facciata di una banca, è sempre e comunque “cattiva” [4]?

Anche senza violenza, l’ADNV e la disobbedienza civile sono spesso criticate: lo stato di diritto viene gettato a mare, le azioni diventano sempre più estreme, si dice. Ma solo perché un atto viola la legge non significa necessariamente che sia moralmente riprovevole. Un esempio lampante: Rosa Parks, che rifiutò di lasciare il suo posto sull’autobus a un uomo bianco – e fu arrestata per questo [5]. L’atto di Rosa Parks, sebbene illegale, è celebrato come eroico. Il movimento per i diritti civili ha contribuito in modo significativo a migliorare la situazione d’ingiustizia giuridicamente legittimata. Certo, oggi ci troviamo in una situazione leggermente diversa, ma il principio può essere facilmente trasferito. Si può infrangere la legge per fare qualcosa di buono. Ciò solleva la questione di com’è definito “il bene”. Nel nostro caso, tuttavia, non si tratta di una discussione sul fatto che sia sufficientemente valido per legittimare le violazioni della legge. Riguarda la conoscenza scientifica; la sopravvivenza è in questione. Se non per queste, allora per che cosa lottare?

Come pare abbia detto Bertolt Brecht, quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere. Le persone soddisfatte non prendono misure così drastiche e son persino disposte a essere arrestate per questo. La disobbedienza civile è un atto di disperazione – e noi siamo disperati.

Fatima Arslantas, 17 anni, studentessa cantonale, impegnata nello sciopero per il clima argoviese. Membro di nessun partito.

Riassunto: 

L’ADNV e la disobbedienza civile sono mezzi efficaci per attirare l’attenzione sulla crisi climatica, com’è stato dimostrato in passato. La provocazione e la violazione della legge possono essere giustificate come mezzo per raggiungere un fine, perché per innescare un cambiamento è necessario applicare una certa pressione. Il fatto che così tante persone si assumano deliberatamente il rischio di essere arrestate dimostra anche quanto sia urgente la situazione e quanto siamo disperati.

Fonti:

[1] https://br.de/nachrichten/kultur/wie-legitim-ist-der-zivile-ungehorsam-der-klima-aktivisten/ Consultato il 23.12.2019.

[2] https://de.wikipedia.org/wiki/Direkte_Aktion/ Consultato l’8.12.2019.

[3] https://lebenshaus-alb.de/magazin/011382.html/ Consultato il 22.12.2019.

[4]http://cw.routledge.com/textbooks/alevelphilosophy/data/AS/WhyShouldIBeGoverned/Civildisobedience.pdf/ Consultato il 22.12.2019.

[5] https://britannica.com/biography/Rosa-Parks/ Consultato il 9.12.2019.

La natura e l’utilità dello sciopero


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Traduzione italiana


La parola « sciopero » è sulla bocca di tutti in Svizzera. Due movimenti la rivendicano, una è femminista e l’altra è ecologista, e hanno reso popolare il termine. La parola d’ordine è: facciamo uno sciopero generale! Ma cos’è uno sciopero?

Uno sciopero è una cessazione dell’attività economica da parte dei lavoratori che si oppongono al padronato. È un conflitto dentro il quale ogni parte a degli interessi diversi. Può assumere molteplici forme ed essere realizzata in concomitanza con altre azioni (dimostrazione, sabotaggio, azione istituzionale o legale, negoziazione, …). Il suo obiettivo è quello di garantire i diritti degli impiegati o di ottenerne di nuovi. Può servire interessi molto specifici (una disposizione specifica dell’azienda) o interessi molto ampi (il progresso sociale che riguarda la società nel suo complesso).

Controversie di lavoro esistono da molto tempo. Dalla specializzazione del lavoro, i dominati hanno sempre attraversato fasi di lotta contro i dominati. Questi conflitti hanno assunto molte forme. Nel XIX secolo, i movimenti sindacali e socialisti hanno rivendicato varie forme di lotta contro il padronato [1], tra cui lo sciopero. Una modalità d’azione importante e addirittura centrale, esiste da decenni e rimane uno strumento potente, anche in Svizzera.

Molti esempi lo dimostrano: lo sciopero è efficace! In Francia, scioperi e occupazioni delle fabbriche hanno portato alle ferie pagate nel 1936, e un aumento generale dei salari nel 1968. Più recentemente in Svizzera, degli scioperi hanno avuto un successo incontestabile [2], nonostante l’intensa repressione dei datori di lavoro, la protezione legale dei dipendenti è ridicola (l’OIT denuncia la Svizzera per questo) e gli impedimenti procedurali al diritto di sciopero. Così, nel settore delle costruzioni, il costruttore grezzo ha ottenuto il pensionamento anticipato a 60 anni! Lo sciopero non è solo un modo di difesa, ma anche un efficace strumento offensivo.

Affinché uno sciopero sia legale in Svizzera, deve riguardare il rapporto tra padronato e impiegati; rispetta la pace del lavoro se è inclusa in una CCL; sia una soluzione di ultima istanza. Può essere spontanea o, il più delle volte, organizzato a monte, di solito da un sindacato. La cessazione di attività può durare poche ore o diversi giorni. Poiché i dipendenti non sono pagati, i fondi di sciopero prendono il sopravvento. Se i segretari pagati dalla maggior parte dei sindacati hanno un ruolo centrale, applicano un mandato conferito dagli scioperanti. È una lotta collettiva, che crea dei legami forti tra scioperanti e stabilisce una cultura della solidarietà. Ma è difficile da condurre ed è raro che tutte le richieste vengano accettate. Tuttavia, numerosi esempi dimostrano la sua efficacia (per ridurre il numero di licenziamenti, aumentare gli stipendi, ottenere un pensionamento anticipato, …). Perché abbia successo, ci vuole coesione tra gli scioperanti, ma anche dei fondi di sciopero per sostenerli, così come dei sostegni esterni. È raro che nessuno degli obiettivi fissati dagli scioperanti sia raggiunto.

Il nostro movimento a iniziato le sue azioni con degli scioperi studenteschi. Anche se atipico, il nostro modo di agire non è ne innovativo né isolato. Nel nostro caso, la sciopero è stato selvaggio o quasi (senza pianificazione sindacale), a volte spontaneo (degli scioperanti decidendo di interrompere la loro attività di formazione – che può essere considerata lavoro – nello stesso giorno), e, secondo la giurisprudenza svizzera, « politica » (benché tutti gli scioperi sono politici). I primi scioperi sono stati un grido dal cuore, diretto verso le aziende, ma soprattutto verso lo Stato, con un’aspirazione che va ben oltre le istituzioni di formazione. Ma, sempre più spesso, in particolare da quando la giustizia climatica è una delle nostre richieste nazionali, si stanno creando legami con i sindacati (ma anche con i collettivi di sciopero femministi) e la parola d’ordine vaga di « sciopero generale » sta prendendo forma con strutture, obiettivi e richieste sempre più concrete. È stata fissata la prima pietra miliare: il 15 maggio 2020.

Ci stiamo soprattutto chiedendo come fare lo sciopero. Ma questo « perché » è centrale. Se entriamo in sciopero, è perché è uno strumento socialmente e politicamente efficace. Il settore economico ha un ruolo centrale nella crisi ambientale, ed è parte integrante del sistema politico. Toccare la produzione, la distribuzione e i servizi, è toccare il cuore del potere. E quindi aprire la strada a cambiamenti sostanziali di cui abbiamo bisogno. Lo sciopero è uno strumento collettivo, molto più potente della maggior parte delle azioni individuali. Permette ai dipendenti di lottare per impedire che delle misure per mitigare la crisi ambientale siano antisociali.

Per raggiungere i dipendenti, abbiamo bisogno dei sindacati (ma dovremmo fare affidamento anche su altre strutture), dei loro mezzi d’azione, dei loro fondi per lo sciopero e della loro esperienza. Dovremmo in gran parte convergere con loro, e con tutte le forze progressiste.

Il post-sciopero generale rimane aperto, e sarà determinato nel corso delle nostre lotte. Ma è fondamentale porre la domande: qual è lo scopo di uno sciopero generale? Ovviamente, perseguire obiettivi climatici e sociali. Ma dovrebbe essere usato, come sostenuto da alcuni, a rovesciare il « vecchio mondo », cioè della società di classe, della società capitalista nel suo complesso? Essere un aiuto a questo obiettivo, perseguito anche in altri modi? Servire a spodestare e sostituire i leader delle grande aziende e dello Stato? Servire come incentivo al cambiamento, senza perturbare le strutture economiche? Queste posizioni, e altre, esistono all’interno del nostro movimento.

Vorrei sottolineare che, a mio avviso, è impossibile raggiungere i nostri obiettivi mantenendo un sistema economico basato su una crescita infinita quando le nostre risorse sono limitate. Arriverei persino a chiedere l’abolizione del trittico capitale-stato-nazione [3]. Ma è compito di tutti pensarci.

Che fare allora? La questione sarà risolta solo in azione.

Quindi tutti noi in sciopero il 15 maggi 2020!

Robin Augsburger, Civiliste, bachelor en biologie et ethnologie. Actif dans les domaines de l’écologie, de la migration et du syndicalisme étudiant.

Sources:

[1] POUGET Emile, Le Sabotage, 1911, disponible à l’adresse https://infokiosques.net/IMG/pdf/Le_sabotage_-_Emile_Pouget.pdf

[2] ALLEVA Vania, RIEGER Andreas (éd.), Grèves au 21e siècle, Rotpunktverlag, 2017, Zürich

[3] KARATANI Kojin, Structure de l’histoire du monde, CNRS Éditions, 2018, Paris

Richieste per il futuro


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Traduzione italiana


Lo Sciopero per il futuro dovrebbe includere richieste concrete per il 15 maggio 2020 e oltre? Assolutamente sì. Ma per quali motivi? Che tipo di richieste? Come? E soprattutto, cosa dobbiamo chiedere esattamente?

Il movimento Sciopero per il Clima ha ormai più di un anno di vita. Lanciato nel segno dell’emozione e della spontaneità, nel corso dei mesi ha maturato e affinato le sue rivendicazioni. Consideriamo lo sviluppo di queste rivendicazioni e perché è necessario rafforzarle. La prima rivendicazione riguarda il riconoscimento dell'”emergenza climatica” da parte delle istituzioni statali. La seconda rivendicazione stabilisce l’obiettivo della neutralità di emissioni di gas serra (“zero netto”) entro 2030 in Svizzera, senza l’uso di tecnologie di compensazione, con una riduzione delle emissioni cominciando nel 2020. La terza rivendicazione riguarda il principio della “giustizia climatica”. La definizione adottata al congresso significa sostanzialmente che rifiutiamo misure antisociali. Queste rivendicazioni sono accompagnate da un addendum: se non possono essere realizzate all’interno del “sistema” esistente, il sistema deve essere cambiato. A un anno dalla fondazione del movimento, queste rivendicazioni rimangono visibilmente imprecise. La prima (emergenza climatica) non introduce nessun elemento concreto. Il secondo (zero netto) non propone nessuna strada per ridurre le emissioni. La terza (giustizia climatica) manca di chiarezza e, nonostante una definizione consensuale adottatata a livello nazionale, c’è ancora un vivo dibattito sulle implicazioni effettive. Infine, l’addendum su “system change” non dice assolutamente nulla sulla natura del cosiddetto “sistema”.

Inizialmente, queste inesattezze nascevano dalla volontà del movimento di evitare posizioni controverse, soprattutto perché non abbiamo avuto le risorse per proporre “soluzioni” concrete all’emergenza climatica. In pratica, i gruppi regionali hanno spesso deciso di imboccare un’altra strada: nel Cantone di Neuchâtel sono state lanciate e accettate mozioni popolari a livello cantonale e comunale [1]; nel Cantone di Vaud è stato elaborato in modo partecipativo un Piano climatico lungo decine di pagine [2], ecc.

Il bisogno di sviluppare proposte di azione più precise cresce con la maturità politica del movimento. La definizione di rivendicazioni e misure concrete è un aspetto centrale dello Sciopero per il futuro, previsto per il 15 maggio. La sfida è di rendere possibili scioperi leciti, che riceveranno il sostegno dei sindacati, mentre promuoviamo l’auto-organizzazione della popolazione attiva, che dovrà formulare rivendicazioni che riguardano direttamente i salariati stessi, secondo il settore o l’azienda. Questo articolo esamina la rilevanza di rivendicazioni concrete, facendo una distinzione tra rivendicazioni generali da una parte, e quelle trasversali, settoriali e aziendali dall’altra, e proponendo alcuni spunti per il contenuto.

Uno degli obiettivi dello Sciopero per il futuro è quello di estendere lo sciopero ai luoghi di lavoro o, almeno, di coinvolgere i dipendenti nel movimento per il clima, con il sostegno dei sindacati. Ma di che genere di rivendicazioni si tratta? Diversi tipi di rivendicazioni sono possibili. Prima di tutto, confrontiamo rivendicazioni lecite e ideali: per non mettere in pericolo i salariati, gli scioperi devono essere basati su richieste legate alle condizioni di lavoro. Dobbiamo formulare richieste concrete e precise che cercheremo comunque di collegare alle questioni climatiche e ambientali. Questa è una priorità assoluta per noi e per i sindacati per il 15 maggio. Per esempio, i salariati potrebbero chiedere la fine dell’uso di un prodotto tossico nel settore paesaggistico, ferie pagate nel caso di temperature eccessive nei cantieri, ecc. Oltre alle richieste legate alle condizioni di lavoro, essenziali per legittimare lo sciopero, i lavoratori potrebbero formulare richieste più ampie e trasversali: controllo democratico della produzione e dei servizi, nazionalizzazione delle istituzioni finanziarie, stato di emergenza climatica che impone allo Stato di rivedere il proprio bilancio, ecc. Questi temi sembrano meno immediati, ma sono fondamentali per creare le basi per un futuro desiderabile per la maggior parte della popolazione.

È possibile stabilire diverse categorie di rivendicazioni secondo il livello d’azione. Possono riguardare un’azienda o uno stabilimento (mense vegane, maschere contro i prodotti tossici, aumento del riciclaggio, ecc.); oppure un settore di attività (norme applicate a un intero settore, finanziamento da parte dei datori di lavoro di corsi di formazione continua per permettere alle persone di riorientarsi, ecc.); oppure possono implicare tutta la società (stop alle importazioni di prodotti vietati alla vendita in Svizzera, riduzioni delle ore lavorative, imposte sul profitto delle grandi imprese per finanziare misure ecologiche ecc.)

Nel movimento che va verso lo sciopero per il futuro, dobbiamo quindi stabilire rivendicazioni specifiche a ogni settore o azienda, al fine di rendere lecita l’azione di sciopero. Ma dobbiamo anche creare prospettive di azione politica per rispondere all’emergenza climatica (che è anche un’emergenza sociale!). Altrimenti i lavoratori rischiano di pagarne il prezzo, sia per i problemi ambientali, sia per le misure adottate dai governi per gestire una situazione che non sono in grado di risolvere. In effetto, dopo un anno di mobilitazioni pro-clima, l’immobilità delle istituzioni politiche è spaventosa. È da temere che “l’onda verde” non cambierà molto questa apatia prevalente. Possiamo quindi sperare di evitare lo “scenario peggiore”, in cui le emissioni continuano a crescere in modo drammatico, generando un disastro globale difficile da immaginare, e giustificando lo sviluppo di poteri autoritari per gestire la situazione? In ogni caso, è fondamentale coinvolgere la popolazione in queste riflessioni, affinché assumano la responsabilità di agire sul piano politico partendo dalle loro esperienze personali, soprattutto al lavoro, perché la transizione si svolga negli interessi della maggioranza, invece di quelli dei leader politici, delle grandi imprese e del settore finanziario.

Come dobbiamo elaborare queste molteplici rivendicazioni? Per il momento, lo Sciopero del Clima definisce le sue rivendicazioni ai congressi nazionali. Ciò non impedisce ai gruppi regionali di definire ulteriori rivendicazioni per il livello locale. Il nostro movimento ha anche deciso che le rivendicazioni concrete per il 15 maggio devono essere definite a livello regionale, in prima linea dai salariati interessati. Ciò non impedisce che un gruppo di lavoro con l’accordo legittimante di una plenaria del Quinto Congresso nazionale possa sviluppare un manifesto nazionale. La strategia attuale, che sembra consone al federalismo svizzero e alle particolarità regionali sindacali, sociali, ecc., riflette quindi piuttosto una concezione decentralizzata e autonoma delle rivendicazioni lecite – ma di fatto anche rivendicazioni più generali, che originano da gruppi locali dello Sciopero per il clima, sindacati, e collettivi dello Sciopero femminista.

Tale decentramento può aumentare il rischio di tensioni a livello nazionale, in quanto alcune rivendicazioni potrebbero non essere compatibili tra di loro. Può anche offuscare il messaggio di un movimento eterogeneo ma unito. Tuttavia, l’aspetto decentralizzato presenta molti vantaggi. I collettivi locali agiscono in un contesto molto familiare ai membri attivi. Le rivendicazioni e le azioni si svolgono secondo le possibilità locali, a seconda del grado di combattività dei sindacati e del grado di sindacalizzazione. È essenziale evitare il più possibile la repressione da parte dei datori di lavoro e consentire ai dipendenti di agire secondo le proprie motivazioni, il proprio livello di consapevolezza e le proprie preoccupazioni immediate. Questo permette di coinvolgere chi conosce meglio di chiunque altro l’ambiente di lavoro, le condizioni di produzione e tutto ciò che implica sul piano sociale, sanitario o ecologico. In breve, lo consideriamo un percorso ragionevole verso una progressiva appropriazione della lotta ambientale da parte della popolazione, il che è indispensabile se vogliamo realizzare un giorno il nostro motto di giustizia climatica e avanzare  verso una transizione ecologica reale, democratica e socialmente giusta. Per tutte queste ragioni, ha senso conservare una forte autonomia locale, sia nel nostro movimento sia nello Sciopero per il futuro. Ma questo non deve bloccare in alcun modo lo sviluppo di rivendicazioni che potrebbero ricevere posteriormente il sostegno del movimento nazionale Sciopero per il clima, oppure persino di un fronte ecologico più ampio.

Passiamo ad alcuni esempi di rivendicazioni per alimentare i nostri dibattiti futuri. Un’idea interessante sta circolando in alcuni ambienti ambientalisti, femministi e sindacali: la riduzione dell’orario lavorativo, senza perdita di retribuzione. Infatti, la riduzione del nostro impatto ambientale implica, a lungo termine, una riduzione nella produzione totale di beni, eliminando la produzione di certe merci considerate inutili. Producendo meno, sarebbe possibile ridurre il carico di lavoro e in alcuni casi anche il turismo d’affari. Questo sarebbe ovviamente un guadagno per i salariati in termini di qualità di vita, in quanto più tempo sarebbe disponibile per altre attività: riposo, tempo libero, autoproduzione (giardinaggio, cucina, ecc.). Sarebbe anche vantaggioso per la salute, riducendo il rischio di malattie e infortuni sul lavoro.  Infine, un aumento del tempo libero permette un maggiore coinvolgimento nella vita associativa e politica, facilitando così un approfondimento della democrazia, passo assolutamente fondamentale per il clima e la giustizia sociale.

Un’altra proposta promettente è di rendere il trasporto pubblico gratuito per ridurre drasticamente la motorizzazione individuale e, di conseguenza, le emissioni prodotte, anziché la cementificazione attraverso lo stop all’ampliamento delle strade, ecc. Tutto questo sarebbe possibile senza dover rendere la libertà di movimento un privilegio.

Quim Puig. Attivista ecosocialista.

Robin Augsburger. Civile, laurea triennale in biologia ed etnologia.

Piccole imprese e grandi ricchezze


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Traduzione italiana


Ma chi sono io per criticare? Un borghese populista completamente staccato dalle realtà terrene. Scrivo grandi testi destinati a sollecitare verbalmente la classe dirigente. Ma io cosa faccio, concretamente, nella mia casa di figlio ricco?

Perché sputo sulle nostre istituzioni, quando siamo così fortunati da avere rappresentanti interessati alla questione ambientale? Dei piccoli gesti li fanno ogni giorno. Recentemente hanno addirittura riciclato il Consiglio Federale! E io?! Passo il mio tempo sul mio cellulare a collezionare più fiamme su Snapchat di quelle che ci sono in tutta l’Amazzonia. Ma qual è il mio vero contributo alla transizione ecologica? Perché mi riservo il diritto di appestare nel mio comfort, mentre allo stesso tempo, della gente onesta si costringe a viaggiare senza climatizzatore nel loro jet privato per preservare il nostro pianeta?

Tregua di frivolezze dubbiose sui piccoli gesti. Ci sono persone che per la vita di tutti i giorni si sporcano veramente le mani per il clima. Il vantaggio del gesto individuale rimane quello che non rompe le scatole agli altri con una morale benpensante. Tutto il mondo può farlo per i fatti suoi e in tutti gli ambiti (alimentazione, trasporto, abitazione, vestimento,…).

Ci provo a mettermi anche io. Nel frattempo, in una società dell’abbondanza, ci vuole della volontà per privarsi di tutto questo comfort! Gli Starbucks, i McDonalds, la Ferrari che volevo a cinque anni a Natale, il fine settimana ad Amsterdam in aereo…dura reprimere tutti questi falsi bisogni generati dalla pubblicità quando scopro che la BNS ha dissipato sette miliardi (l’equivalente di tutto quello che guadagnerò durante le mie prime 10’000 vite) nelle energie fossili nel 2019, che il presidente del primo partito svizzero -eletto al Consiglio Nazionale- presiede ugualmente dal 2016 la lobby dell’olio combustibile e altri combustibili SwissOil, che il Parlamento rifiuta di eleggere una consigliera federale verde con il pretesto che ii consiglieri federali rappresentino una minoranza linguistica. Bisognerà quindi attendere che gli orsi polari parlino italiano e Lombardo perché siano presi in considerazione con attenzione da alcuni/e eletti/e?

Ammiro tantissimo il coraggio delle persone che sacrificano del tempo, della pazienza e dell’energia a favore dell’ecosistema per accettare di vedere i loro sforzi diventare polvere al vento. Potrei passare al lato oscuro della forza e strangolare tutti/ i/le banchieri/e. Ma come il fatto che essi/e respirino non mi dà fastidio, contrariamente al fatto che investano su una via pericolosamente incerta, resterò piuttosto dal lato luminoso e metterò in luce il ruolo di quelli che “urlano” nella lotta climatica.

Al posto di scrivere questo articolo avrei potuto bere, mangiare o dormire come qualsiasi procrastinatore/trice infimo. I/le militanti di Extinction Rebellion preferirebbero sicuramente restare a casa che giocare ai Che Guevara e alle Rosa Parks sulle strade principali e Greta sarebbe senza dubbio felice di non più rimproverare dei capi di stato settantenni ad ogni vertice internazionale e di ritornare finalmente a scuola serena. La stessa scuola che si adopera per farci imparare il presente e l’imperfetto di modo che siamo preparati al futuro per lottare contro le ingiustizie. Oppure, l’ingiustizia è presente. Quella dei pezzi grossi dell’economia mondiale che si crogiolano nei loro miliardi grazie alle energie fossili e che per giustificarsi rigettano la responsabilità sugli individui, che nella maggior parte dei casi hanno difficilmente i mezzi per adattare il loro comportamento all’urgenza ambientale.

Ecco perché critico. Per farmi sentire affinché tutte quelle piccole mani che si attivano ogni giorno per prendersi cura del nostro ambiente non siano più amputate dalle lunghe braccia del neoliberalismo e della sua stretta alla gola sul mondo. Non faremo niente in un un battito di ciglia, ma girarsi i pollici non rischia in alcun caso di portare un cambiamento maggiore.

Fabrice Bourquenoud, Attivista per gli scioperi climatici di Friburgo, Studente di biologia e scienze ambientali

Lotta all’ecofascismo


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Traduzione italiana


La risposta alla crisi climatica non è sempre solidale e giusta, può anche essere fascista. La maggior parte dei partiti di estrema destra nega ancora l’esistenza della crisi climatica, ma questo potrebbe cambiare presto. 

I partiti di destra o di estrema destra che negano l’esistenza della crisi climatica sono pericolosi. L’unica cosa che è ancora più pericolosa sono i partiti di destra o di estrema destra che riconoscono l’esistenza della crisi climatica e sentono la necessità di agire. Un sondaggio del think tank adelphiha dimostrato che la maggioranza dei partiti populisti di destra in Europa nega la crisi climatica o non accetta attivamente la sua esistenza. Secondo l’autrice Naomi Klein, tuttavia, questo cambierà nei prossimi anni. Nel suo nuovo libro “On Fire – A Case for a Green New Deal” parla dell’attentato che lo scorso 15 marzo ha ucciso 50 persone in una moschea di Christchurch, avvenuto  a poche centinaia di metri di distanza da una manifestazione in occasione dello sciopero mondiale per il clima. L’autrice evidenzia una connessione tra le ideologie di estrema destra e l’ambientalismo: la distruzione ambientale infatti negli ultimi anni è apparsa ripetutamente nelle motivazioni di attentatori di estrema destra. Il caso citato prima ne è l’ennesima prova: l’omicida in questione ha giustificato il proprio atto razzista proclamando che “non c’è nazionalismo senza ambientalismo”, riferimento diretto all’ideologia nazista del sangue e del suolo, dichiarando di aver agito a causa del collasso economico.

Tuttavia, la crisi climatica e l’ampia distruzione dell’ambiente non interessano solo i singoli attentatori, ma sono temi sempre più discussi anche nelle organizzazioni  di destra e di estrema destra (e nei  media). Il partito neofascista NPD propaga lo slogan “La protezione dell’ambiente è la sicurezza interna” e l’UDC vede la migrazione come la causa dei problemi ambientali locali così come globali. Entrambe le parti negano attualmente la crisi climatica, ma un articolo di Tucker Carlson sul canale statunitense Fox News dà un’idea di come potrebbe essere la nuova posizione della destra a riguardo . Carlson ha affermato che se la crisi climatica esistesse, la frontiera USA-Messico dovrebbe essere chiusa per fermare la migrazione. La sua conclusione si basa sul fatto che le persone nei paesi del Nord del mondo causano più emissioni di gas a effetto serra rispetto alle persone del Sud del mondo – il che è di fatto corretto. Ma egli conclude che un aumento delle emissioni può essere evitato se le persone con una piccola impronta ecologica non migrano più in paesi con una grande impronta ecologica.

Nei prossimi paragrafi illustrerò come potrebbe manifestarsi una politica climatica di destra o addirittura fascista. Inizialmente occorre fare una distinzione tra le due::  i gruppi politici di destra considerano la democrazia e lo stato di diritto fondamentali, mentre i gruppi fascisti rifiutano le strutture democratiche e vogliono costruire una società totalitaria. Secondo questa definizione, Trump e l’AfD (Alternative für Deutschland: partito politico tedesco euroscettico, posizionato tra la destra e l’estrema destra) sono chiaramente da classificare come fascisti: i rappresentanti dell’AfD banalizzano o addirittura negano l’Olocausto e alcuni di loro sono  apertamente fascisti. Trump non si è mai chiaramente distanziato dagli eventi di Charlottesville, né da  fascisti come il leader del KKK David Duke. Al contrario,Ha descritto  i manifestanti di Charlottesville come “persone molto decenti” (“very fine people”). Ha inoltre definito  tutti i messicani violentatori e li ha fatti rinchiudere in dei campi. L’UDC ha membri che partecipano alle parate neonaziste, ma ha anche un gran numero di persone che non sono estremisti. Quindi non è possibile chiamare l’UDC fascista nella sua unità.

Supponiamo che i partiti di destra e i fascisti accettino l’esistenza della crisi climatica e decidano di fermarla con misure efficaci. a domanda che sorge spontanea è la seguente: in cosa sarebbe differente una politica climatica di destra da una di sinistra?. Mentre la giustizia sociale, nota anche come giustizia climatica, è di importanza centrale nella politica climatica di sinistra, la destra la ignora o addirittura la contrasta consapevolmente. Mentre, ad esempio, la sinistra progetta i divieti come misure di protezione del clima,  in modo da redistribuire il capitale e il potere dagli abbienti ai lavoratori, la destra dà molto peso all’autoresponsabilità e all’idea che ognuno sia l’artefice della propria fortuna, che, in realtà, fa sì che potere, capitale e privilegi si concentrino progressivamente nelle mani di  una piccola élite. I divieti possono quindi essere usati per attaccare deliberatamente i gruppi sociali più deboli e farne il capro espiatorio della crisi climatica, come già avviene oggi quando gli individui vengono ritenuti responsabili della crisi climatica a causa dei loro consumi (oder “del loro stile di vita”). 

Le politiche di divieto di destra potrebbero significare, ad esempio, che le auto con motore a combustione sarebbero vietate senza offrire alternative: Il trasporto pubblico nelle regioni periferiche non verrebbe ampliato e i prezzi delle auto elettriche sarebbero troppo alti per gran parte della popolazione. Tale politica, che in parte viene praticata in Francia da  Macron, limita la libertà di movimento di gruppi già parzialmente emarginati, escludendoli completamente dalla vita pubblica.. Se la giustizia climatica non è al centro di ogni misura di protezione del clima, o viene persino ignorata, le conseguenze che ne derivano risultano fatali per le persone affette.. Mentre le emissioni di fatto si riducono, la disuguaglianza nella società aumenta.

La politica climatica di destra non deve essere consapevolmente antisociale. La reazione di Macron alle proteste dei giubbotti gialli evidenzia come sia stato visibilmente sorpreso dalla loro resistenza. La politica di destra è sempre stata al servizio di una classe privilegiata che non ha nessuna consapevolezza delle condizioni di vita della popolazione lavoratrice. Questa mancanza di comprensione impedisce alla destra di sviluppare una politica climatica socialmente giusta. In contrasto con una politica di destra, il controllo assoluto e la strutturazione di ogni ambito della vita è centrale nel fascismo. I divieti sono un importante strumento di potere per ottenere il controllo sulle persone. Una violazione di questi divieti potrebbe essere massicciamente punita nell’ambito di una politica climatica fascista, soprattutto con il pretesto della protezione dell’ambiente come protezione della patria. Trasgredire questi divieti potrebbe  quindi essere considerato come un tradimento della “patria” e del “popolo”. Quindi, una politica climatica senza giustizia climatica porta inevitabilmente a un futuro molto cupo.

A questo punto, si può progettare un secondo scenario, che mette in luce il rapporto tra crisi climatica e fascismo: un aumento incontrollato delle emissioni di gas serra porterà a un disastro umanitario. Nel quinto Rapporto di Valutazione del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, l’IPCC, viene ipotizzato un aumento del tasso di migrazione dovuto agli effetti della crisi climatica. Le persone che perderanno la loro casa a causa della crisi climatica dovranno iniziare una nuova vita da qualche altra parte: si presume che il periodo di siccità tra il 2006 e il 2010, che ha preceduto la guerra civile in Siria, sia stato un fattore decisivo per il suo sviluppo. Molte persone attualmente bloccate al confine meridionale degli Stati Uniti sono fuggite dalle loro case in America Centrale perché hanno perso la loro fonte di sussistenza a causa dell’estrema siccità. L’espulsione di persone dalle loro case a causa della crisi climatica non è quindi più uno scenario futuro distante.

Ma ancora più spaventose sono le reazioni dell’Europa e degli Stati Uniti a questi eventi. Quando nel 2015 e nel 2016 un numero record di persone ha cercato di raggiungere l’Europa attraverso diverse rotte, la risposta non avrebbe potuto essere più brutale e maligna. Oggi le frontiere esterne dell’Europa sono chiuse, le recinzioni sono state innalzate e le frontiere sono sorvegliate da Frontex e dalle milizie libiche sul Mediterraneo.

Innumerevoli persone sono detenute in campi in Libia in condizioni disumane e coloro che tentano di soccorrerli in mare, come Carola Rackete, vengono criminalizzat*. Negli Stati Uniti, la situazione non è molto diversa: la recinzione di confine, che esisteva prima di Trump, costringe molte persone a intraprendere un viaggio potenzialmente mortale attraverso il deserto. Coloro che sopravvivono al deserto sono destinati allo sfruttamento lavorativo come clandestini negli Stati Uniti. Sotto la presidenza di Trump, i richiedenti d’asilo sono rinchiusi in campi in condizioni sanitarie pessime. Quando la migrazione diventa una realtà a causa della crisi climatica, la brutta faccia delle società occidentali viene esposta attraverso la xenofobia e il razzismo aperto.

Allo stesso tempo, il mondo sta vivendo un’ascesa di partiti e politici di destra, che vincono elezioni fomentando odio e agitazione. Sempre più persone soffrono delle politiche neoliberali, che lasciano loro sempre meno con cui vivere. Dopo decenni sotto il dominio di un’ideologia che mette al centro l’individuo, che ha distrutto l’organizzazione sindacale dei lavoratori e delle lavoratrici e che sostiene che non esiste una società, non c’è più solidarietà tra gli oppressi. Questo sviluppo fa il gioco delle forze dell’estrema destra, che propagano soluzioni semplici, a scapito delle persone che, sotto le politiche neoliberali soffrono ancora di più. I rappresentanti e le rappresentanti dei partiti popolari tradizionali borghesi non tentano in modo coerente di distanziarsi da questa politica. Negli Stati Uniti, la maggioranza dei repubblicani segue ancora la politica di Trump, e in Germania la CDU sta apertamente considerando una coalizione con l’AfD in alcuni stati federati. Così facendo, questi partiti stanno formando le basi per il rafforzamento delle ideologie neofasciste in tutto il mondo.

Attualmente, a rivendicare la protezione ambientale sono principalmente i partiti e i gruppi di sinistra, ma la situazione potrebbe cambiare presto. Il fascismo nel XX secolo non è iniziato con i campi di concentramento, ma con la scissione della società e lo sfruttamento delle situazioni di crisi. Il movimento per il clima deve essere consapevole di questo fatto. Il Sierra Club, una delle più grandi organizzazioni ambientaliste degli Stati Uniti, alcuni anni fa correva il serio rischio di essere infiltrato da gruppi di estrema destra. In diversi stati degli Stati Uniti, il Tea Party e il Sierra Club hanno condotto campagne congiunte per promuovere i pannelli solari, e persone con opinioni antisemite si sono candidate per il Consiglio direttivo. Il 29 novembre 2019, uno sciopero per il clima in Polonia è apparso uno striscione con la scritta: “Salvate le api, non i rifugiati”. Sciopero per il clima non deve chiudere gli occhi di fronte a questi sviluppi.

La risposta di sciopero per il clima a una politica ecofascista deve essere chiara: la politica climatica deve essere sempre socialmente giusta. Sciopero per il clima è fondato su solidarietà, rispetto reciproco e tolleranza. Se vogliamo riferirci  alla nostra terza rivendicazione, allora deve essere chiaro per noi: la giustizia climatica è antifascista. Non basta parlare solo di un mondo migliore e impedire la diffusione di tali idee con retorica positiva; tutte le nostre azioni devono essere caratterizzate dall’antifascismo. Ciò significa impedire costantemente qualsiasi tentativo di occupare l’agenda della politica climatica con i suoi temi. La politica climatica di destra serve esclusivamente a mantenere un’élite bianca privilegiata e non si preoccupa del benessere del resto della popolazione.

Anche  sciopero per il clima deve costruire strutture resistenti nella società che siano caratterizzate dalla diversità e dalla coesistenza aperta. La gente è più suscettibile alle idee fasciste quando ha la sensazione di essere sola.Sciopero per il clima ha dimostrato con il suo ampio approccio che la lotta contro la crisi climatica è una lotta collettiva. Dobbiamo instaurare questo sentimento ancora più fermamente nella società. In definitiva, non stiamo combattendo per il clima, ma per la gente. E una lotta per il popolo non può che essere una lotta contro il fascismo.

Estratto di testo: Giustizia climatica è antifascista.

Sintesi: La maggior parte dei partiti estremisti e populisti di destra attualmente non riconosce l’esistenza della crisi climatica. Ma ci sono i primi segnali che questo potrebbe presto cambiare. La politica climatica dei partiti e dei gruppi di destra si differenzia fondamentalmente dalle misure di protezione del clima socialmente giuste: per raggiungere gli obiettivi climatici, potrebbero ricorrere a misure che limitano in modo massiccio la libertà di alcune parti della popolazione. Le conseguenze della crisi climatica, come l’aumento della migrazione, potrebbero portare al rafforzamento dei partiti di destra e di quelli apertamente fascisti. Già oggi è evidente come gli Stati del Nord America e dell’Europa stanno reagendo a questa situazione. Una progressione incontrollata della crisi climatica potrebbe portare all’isolamento dell’Europa e del Nord America. La giustizia climatica deve quindi essere antifascista e sciopero per il clima deve lavorare attivamente per una società aperta e solidale, così da stroncare sul nascere il ritorno del fascismo.

Jonas Kampus, 18 anni, studente del liceo, attivo negli scioperi per il clima in Strike For Future, collabora con i sindacati, lavora al Piano d’Azione per il Clima, lavora con i media e nel coordinamento globale.

Ciò che stiamo facendo ora ha un’importanza mai vista prima


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Traduzione italiana


Il profumo del tè fumante allo zenzero sale alle mie narici. Stringo la tazza calda fra le dita tremanti e lascio vagare lo sguardo all’esterno. La nebbia fitta penetra in profondità nelle strade, avvolge lampioni e alberi, inghiotte i gatti girovaghi. Una foschia spessa e grigia si infila tra i vicoli, posso solo scorgere i fievoli contorni di una passante che si affretta. Strizzo gli occhi quanto più posso, ma in realtà sono felice che le rughe che solcano le fronti di quei volti stressati non riescano a imprimersi nella mia memoria. Premo il naso contro il vetro ghiacciato della finestra, inspiro ed espiro profondamente. Dentro, fuori. Dentro, fuori. Come il gatto inghiottito dalla nebbia, io sono immerso nei miei pensieri che ruotano in cerchio, e ruotano, ruotano.

I titoli dei giornali di oggi, siccità e uragani, foreste in fiamme e carestie, il ricordo delle prime pagine di ieri e la paura di quelle di domani mi travolgono.

Mi sento impotente. Da mesi sto cercando con tutte le mie forze di liberarmi da un sistema inceppato e di prendere con me il maggior numero possibile di persone. Tuttavia a volte mi sembra che i miei genitori, i miei vicine e le mie vicine, i miei amici e le mie amiche non vogliano ascoltarmi affatto, come se non avessero alcun interesse ad aiutare se stessi e il resto del mondo. Con una produzione pari a 42 gigatoni di CO2 all’anno, noi ci stiamo lanciando verso un abisso e nessuno sembra volere, o potere, ridurre la velocità. Mi angoscia osservare come le persone si lascino guidare dalle regole e dai modelli della società e dalle manipolazioni di potenti grandi imprese e istituti finanziari, come se si trattasse di un semplice esercizio mentale. Se cerco disperatamente di far sentire la mia voce, si sentono attaccate personalmente. Che cosa le induce a pensare che io voglia togliere o negare loro qualcosa, oppure tradirle?

Il mio sguardo è immerso nel grigiore che rende ogni cosa indistinta. Mi sembra di essere Sisifo, condannato per l’eternità a far rotolare fin sulla sommità della montagna un masso che, giunto quasi in cima, rotola di nuovo a valle. A ogni rimbalzo sul terreno, la pietra trascina persone nella povertà, toglie loro la terra, l’acqua, la fertilità, la casa. Toglie loro la speranza di una vita giusta, laggiù, ai piedi della montagna, a sud. Sento che è mia responsabilità sollevare la pietra, sollevarla con tutte le mie forze. Ma di nuovo gli spigoli e gli spuntoni del mio carico aprono ferite nelle mie mani, fino a quando il dolore urla più forte della mia utopia.

Il mio sguardo è immerso nel grigiore che rende ogni cosa indistinta. Ricordo i volti determinati di chi spalla a spalla si è opposto alle politiche ingiuste e distruttive degli avidi. Riecheggiano nelle mie orecchie i commenti denigratori, mi fanno rabbrividire le espressioni interrogative e le occhiate compassionevoli e derisorie che mi vengono lanciate quando parlo del mio attivismo. Mi chiedono se voglio decidermi a fare qualcosa di serio nella vita. Mi chiedono come si possa lottare unicamente per il clima tutto il santo giorno. Mi ritrovo a dover cercare da sola la mia strada in questo sistema che ci sta spingendo contro il muro. Non posso e non voglio essere emarginata, eliminata. So anche quanto io sia privilegiata. Questo tuttavia non rende le cose più facili. Se fallisco, ho la sensazione che dipenda tutto da me. Quando sono confusa e disorientata, quando non riesco ad alzarmi dal letto, ho l’impressione che sia semplicemente tutta colpa mia. Potrei essere così libera, ma non posso. Penso alle maschere indifferenti di coloro che restano fermi al margine della strada, guardano le manifestazioni e tirano fuori i loro cellulari per un nuovo post sul loro profilo Instagram. Il mio cuore diventa pesante. Batte a grandi intervalli, cupo e rassegnato.

Sorseggio il mio tè. Il calore mi brucia le labbra. Sobbalzo. Impreco appena. Poi alzo gli occhi. La nebbia si dirada gradualmente. Il sapore bruciante dello zenzero sulla mia lingua cede il passo alla dolcezza dello sciroppo di datteri. Improvvisamente il sentimento di frustrazione è sostituito da una sensazione di forza e di spirito di lotta. Il mio sguardo intercetta l’euforico bagliore degli occhi di ragazzini che saltano avanti e indietro tra cartelli colorati ed enormi striscioni. A piedi nudi, danzano su melodie potenti che rimbombano da enormi altoparlanti – risuonano sogni di rivoluzione. Ritorna il coraggio. Il coraggio e la chiara consapevolezza che ogni delusione, ogni sconfitta, ogni preoccupazione e ogni disperazione non mi impediranno mai di continuare a lottare e a difendere la mia visione di un mondo migliore. Voglio vivere quel sentimento di comunità che avverto quando insieme sogniamo visioni verdi e sventoliamo bandiere rosse. Quando organizziamo dimostrazioni e azioni fino a tarda notte, quando prepariamo dei progetti e ci lanciamo in discussioni animate. Voglio far parte di coloro che sanno di fare la cosa giusta. Sentirmi parte di chi toglie i potenti dal loro trono – i potenti che cavalcano l’onda della ricchezza e superano qualsiasi perdita. Ciò che stiamo facendo ha un’importanza mai vista prima. Se non ora, quando? Se non noi, chi?

Fuori dalla mia finestra passa un’anziana signora che si appoggia a un bastone. Un sorriso soddisfatto sfiora le sue labbra. Non devo strizzare gli occhi per scorgere che sulla manica della sua giacca risplende un autocollante familiare. “Fate l’amore, non la CO2”, vi si legge.

Leonie Traber, 18 anni, attivista per il clima, membro della JUSO

Muovetevi!


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Traduzione italiana


Dopo i primi parziali successi dell’anno scorso, sorge la domanda su come mantenere questo movimento nel lungo termine. Solo insieme potremo apportare il cambiamento necessario!

Giustizia Climatica


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Cos’è la giustizia climatica? Cosa significa concretmente? Perché è una delle tre rivendicazzioni di Sciopero per il Clima? Sono queste le domande alle quali si tenterà di rispondire in questo articolo.

Giustizia, nel Vocabolario Treccani, viene definita come “virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge”[1]. La definizione di clima, invece, è la seguente: “complesso delle condizioni meteorologiche che caratterizzano una località o una regione nel corso dell’anno, mediato su un lungo periodo di tempo” [2].  Potrebbe sembrare strano associare questi due termini apparentemente così lontani: il primo una creazione puramente umana, il secondo un meccanismo che prescinde dall’esistenza dell’umanità. Eppure, unendoli si dà alla luce un nuovo concetto, il cui significato è tutt’altro che scontato. In questo articolo, cercheremo quindi di spiegare il termine giustizia climatica e le sue implicazioni, riferendoci al contesto attuale, così da capire perché sciopero per il clima Svizzera ha a cuore questo principio e in cosa consiste più precisamente la sua rivendicazione.

Perché è stato coniato il termine giustizia climatica?

Il termine giustizia climatica nasce dal riconoscimento che i cambiamenti climatici non hanno un effetto solamente sugli ecosistemi, ma anche sulla vita umana, in particolare sui diritti umani e sui divari socio-economici. Infatti, coloro che traggono profitto dalle strutture attuali e contribuiscono maggiormente a causare i cambiamenti climatici, solitamente, non sono tra coloro che ne subiscono le conseguenze. I cambiamenti climatici aggravano le disuguaglianze esistenti e ne creano di nuove. La giustizia climatica impone che ci si interroghi su chi stia causando la crisi, chi ne sia maggiormente colpito e, partendo da lì, determinare quali siano le responsabilità che ne derivano. Così facendo, si riconosce che la crisi climatica non è un problema puramente ambientale, ma anche una questione etica, politica e sociale. 

Come anticipato, i cambiamenti climatici aggravano ingiustizie esistenti e ne creano di nuove. Ciò avviene principalmente in tre dimensioni; dimensione temporale, dimensione sociale e dimensione spaziale [3].

La dimensione temporale. Questa dimensione sottolinea un’ingiustizia intergenerazionale. I principali responsabili della crisi climatica, ovvero le generazioni che hanno abitato la Terra a partire dall’industrializzazione fino alla generazione degli adulti di oggi, non ne subiranno le conseguenze. L’inerzia delle generazioni che sapevano ma non hanno fatto nulla condannerà quelle future a sopportare il fardello di un problema a cui non hanno nemmeno contribuito. Più si aspetta ad agire, peggiori saranno le conseguenze che noi giovani e, soprattutto, le generazioni future dovremo e dovranno affrontare. Per questo motivo sono necessari provvedimenti immediati.

La dimensione spaziale. Le diverse aree del mondo sono responsabili per i cambiamenti climatici in misura differente e ne subiranno le conseguenze con un’intensità diversa. In generale, coloro che hanno contribuito meno all’aggravamento della crisi climatica, ne subiranno maggiormente gli effetti. Gli esempi sono innumerevoli; gli atolli oceanici verranno a breve sommersi dal mare, in India, le ondate di calore mortali e la scarsità di acqua già sperimentate negli ultimi anni non faranno altro che peggiorare. Anche l’Africa subsahariana è un valido esempio, in quanto lì la terra è sempre più arida e sterile e costringe gli abitanti della zona a emigrare [6]. La questione migratoria rappresenta oggi una delle sfide più importanti che la nostra società è chiamata ad affrontare e il suo peso non farà che aumentare: si stima che i cambiamenti climatici produrranno dai 120 milioni ai due miliardi di migranti [7]. 

La dimensione sociale. Questa dimensione evidenzia come i divari socio-economici già esistenti, combinati con i cambiamenti climatici cresceranno ulteriormente. I maggiori responsabili della crisi nella quale ci troviamo sono molto spesso quelli che dispongono di più risorse per affrontarla; al contrario, le popolazioni che già si trovano in una posizione socio-economica svantaggiata non hanno i mezzi per fronteggiarla.

Ognuno di questi punti evidenzia l’aspetto cardine del cambiamento climatico che spinge alla rivendicazione della giustizia climatica: i responsabili non sono ancora affetti dalle conseguenze disastrose della crisi, che si stanno già riversando invece sui più deboli.

Cosa significa giustizia climatica

La giustizia climatica consiste nella rivendicazione che le politiche e i progetti volti a contrastare la crisi climatica prevedano azioni conformi a principi morali che trattino in modo equo e non discriminatorio tutte le persone [4]. 

Questa definizione fornisce un’idea di cosa sia la giustizia climatica, ma rimane molto vaga ed astratta. Per capire più a fondo cosa implica davvero la giustizia climatica, esploreremo i principi su cui essa si basa [5]. 

Rispetto e protezione dei diritti umani. I diritti umani sono stati concordati a livello internazionale e forniscono una chiara base giuridica alla quale si dovrebbe fare riferimento per formulare risposte ai cambiamenti climatici che siano moralmente appropriate, radicate nell’uguaglianza, nella giustizia e nel rispetto della dignità umana. 

Sostegno del diritto allo sviluppo. L’esistenza di enormi divari socio-economici tra paesi del Nord e del Sud del mondo, così come all’interno dei singoli stati, è considerata una delle più grandi ingiustizie della società odierna. Il fallimento di un’equa distribuzione delle risorse impedisce a miliardi di esseri umani di condurre una vita dignitosa. La crisi climatica aggrava i divari, ma fornisce anche l’opportunità di scegliere un nuovo paradigma di sviluppo sostenibile e rispettoso. Fornire sostegno ai più poveri, in modo che possano partecipare attivamente allo sforzo collettivo per la mitigazione e l’adattamento, dovrebbe quindi essere un punto importante di qualsiasi nuovo programma. 

Equa ripartizione dei benefici e degli oneri associati al cambiamento climatico. È necessario riconoscere che le responsabilità legate ai cambiamenti climatici sono comuni ma differenziate (in quanto ognuno ha la sua parte di responsabilità, ma esse non sono di egual misura le une con le alte) e che le capacità di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra variano da paese a paese, a dipendenza della risorse di cui essi dispongono. Secondo questo principio, coloro che sono maggiormente responsabili di emissioni di gas a effetto serra e che dispongono di più mezzi per agire, dovrebbero essere i primi a ridurre le proprie emissioni. Inoltre, coloro che hanno maggiormente beneficiato e continuano a beneficiare delle emissioni, in termini di crescita economica e arricchimento, hanno il dovere morale di condividere questi benefici con coloro che stanno subendo le conseguenze di tali emissioni. Gli abitanti dei paesi a basso reddito devono avere la possibilità di adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici e adottare uno sviluppo a basso impatto ambientale.

Decisioni partecipative, trasparenti e responsabili. L’opportunità di partecipare a processi decisionali equi, responsabili, aperti e privi di corruzione è fondamentale. Inoltre, è necessario che le politiche in questo ambito siano all’ascolto dei più vulnerabili alla crisi climatica, così da comprendere e affrontare adeguatamente le loro esigenze.

Parità di genere ed equità. Le donne subiscono ingiustizie a causa dei ruoli di genere e delle strutture sociali patriarcali, che spesso sono esacerbate dalla crisi climatica. Questo è un fenomeno evidente in particolare nelle regioni rurali del Sud del mondo. Qui, le donne hanno generalmente uno status sociale più basso e un potere politico ed economico inferiore a quello degli uomini. Inoltre, sempre nei paesi del Sud del mondo, le donne ricoprono un ruolo importante nell’agricoltura e sono generalmente più colpite dalla povertà. Ciò fa sì che siano più esposte ai cambiamenti indotti dal clima. In molti paesi, infatti, si trovano in prima linea a dover convivere con le ingiustizie causate dai cambiamenti climatici, di conseguenza, possono contribuire attivamente a portare un cambiamento all’interno della propria comunità. La voce delle donne deve essere quindi ascoltata e appoggiata. [3]

Potere trasformativo dell’educazione. È importante che il potere trasformativo dell’educazione venga sfruttato adeguatamente, così da modificare le norme culturali e favorire l’adozione dei principi sopra citati e, conseguentemente, di quello di giustizia climatica. Occorrono cambiamenti radicali nello stile di vita e nei comportamenti. L’istruzione ha il potere di dotare le generazioni future delle competenze e delle conoscenze di cui avranno bisogno per sopravvivere e prosperare. 

Collaborazioni efficaci. Per limitare i danni dei cambiamenti climatici è necessario che vengano presi provvedimenti sia all’interno dei singoli Stati che a livello internazionale. Per questo, la giustizia climatica richiede che le risorse e le competenze vengano condivise a livello globale, in modo da permettere azioni coordinate ed efficaci. Le collaborazioni internazionali hanno, quindi, un ruolo chiave nel porre rimedio ai cambiamenti climatici. 

Purtroppo l’adozione di questi principi richiede il superamento  delle logiche di egocentrismo e avidità che caratterizzano l’attuale panorama politico mondiale, e che stanno portando al fallimento ogni tentativo di limitare i danni causati dai cambiamenti climatici. L’umanità si trova su un treno diretto a folle velocità verso un burrone, la voce dei ragazzi in tutto il pianeta si sta alzando per tirare il freno d’emergenza: ascoltiamola!

Perché la giustizia climatica è una rivendicazione di sciopero per il clima?

Stabilire relazioni chiare tra le cause e gli effetti dei cambiamenti climatici non è facile e, in un sistema mondo così complesso, il principio “chi inquina paga” può essere raramente applicato con successo [3]. Tuttavia, sciopero per il clima lotta per la creazione di un sistema che, oltre a risolvere i problemi legati alla crisi climatica, agisca in modo equo e morale, un sistema che coniughi il rispetto per le persone a quello per la natura. Ciò richiede linee guida e regole precise per limitare i divari e compensare le ingiustizie. La giustizia climatica si occupa esattamente di questo. Più che un obbiettivo statico da raggiungere, essa descrive una metodologia con la quale approcciare la risoluzione della crisi climatica. Un processo rispettoso della giustizia climatica è un processo che tiene conto dei diritti umani, che sostiene i più deboli e che prende decisioni trasparenti. Per questo, assieme alla neutralità di emissioni di CO2 entro il 2030 e alla dichiarazione dell’emergenza climatica, sciopero per il clima Svizzera chiede alle autorità svizzere di procedere nello sviluppo delle proprie politiche ambientali secondo il principio della giustizia climatica. Inoltre, poiché le autorità sono elettive, ognuno di noi dovrebbe farsi portavoce di queste istanze. 

Cosa si sta facendo per raggiungerla?

(Quasi) tutti gli Stati del mondo hanno finalmente preso coscienza dei cambiamenti climatici e le iniziative delle Nazioni Unite e dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, organo delle Nazioni Unite con lo scopo di analizzare e valutare la scienza relativa ai cambiamenti climatici) che hanno portato all’accordo di Parigi ed alle varie conferenze internazionali (COP) provano a dare una risposta globale alle ingiustizie climatiche. Proprio oggi (15 Dicembre 2019) però, c’è stata una battuta d’arresto: la COP25 si è chiusa senza un’intesa su uno degli articoli chiave dell’Accordo di Parigi. Gli interessi dell’industria fossile hanno prevalso sulla pressione degli scienziati e degli attivisti, che rivendicavano che dei piani di tagli alle emissioni più ambiziosi venissero approvati durante questa conferenza. Antonio Gutierrez, segretario generale dell’ONU, così come Greta Thumberg, Greenpeace e altre associazioni ambientaliste si dichiarano delusi dall’esito della conferenza. Gutierrez ha affermato: “La comunità internazionale ha perso un’importante occasione per dimostrare una maggiore ambizione in materia di mitigazione, adattamento e finanza per affrontare la crisi climatica. Ma non dobbiamo arrenderci.”[8] 

La scienza ci mostra che le soluzioni ci sono, quello che manca oggi è la volontà politica di implementarle, a causa degli enormi interessi economici in gioco e l’impegno necessario per attuare un cambiamento radicale nel sistema. Di conseguenza, è essenziale che i cittadini di tutto il mondo scendano per le strade, uniti, e facciano sentire la propria voce, chiedendo che non vengano chiusi gli occhi davanti alla crisi climatica, né davanti alle ingiustizie.

Ismea Guidotti, 19 anni, studentessa di relazioni internazionali, membro di sciopero per il clima

Matilda Sangiorgio, 19 anni, studentessa di relazioni internazionali

Massimo Chiaia, 48 anni, ingegnere informatico, membro di Genitori per il Clima

Quellen:

[1] Vocabolario Treccani (n.d.). Giustizia. http://www.treccani.it/vocabolario/giustizia/

[2] Vocabolario Treccani (n.d.). Clima. http://www.treccani.it/vocabolario/clima1/

[3] Arlati, Michèle et al. Ein umfassendes Problem: die Klimakrise ist eine soziale Krise [Un problema globale: la crisi climatica è una crisi sociale]. In: netto.null. Maggio 2019. PP. 34-37.

[4] Bartholomew, Shannon. What does climate justice mean to you? In: HuffPost. Dicembre 2017. https://www.huffpost.com/entry/what-does-climate-justice_b_8745372 (Traduzione propria)

[5] Mary Robinson Foundation – Climate Justice. Principles of Climate Justice. Luglio 2011. https://www.mrfcj.org/principles-of-climate-justice/

[6] Cinini, Giancarlo. I migranti del clima dal Sahel all’Italia. In: Galileo. Marzo 2019. https://www.galileonet.it/migranti-del-clima/

[7] Steinberger, Julia. Climate emergency: scientific reality, necessary action. [PowerPoint Presentation]. Agosto 2019. Materiale presentato alla conferenza SMILE a Losanna (Svizzera).

[8] Fraioli, Luca. Cop25, rimandato il nodo delle emissioni: fallita la conferenza di Madrid. L’Onu: “Un’occasione persa”. In: la Repubblica. December 2019. https://www.repubblica.it/ambiente/2019/12/15/news/cop25_rimandato_il_nodo_delle_emissioni_greta_non_ci_arrenderemo_-243530321/?ref=RHPPLF-BH-I243531961-C8-P4-S1.8-T1